Diversità affascinanti
Un vecchio detto recita così:
“Se poni la stessa domanda a venti zingari, otterrai venti risposte diverse. D’altro canto, se poni per venti volte la stessa domanda a un solo zingaro, otterrai ugualmente venti risposte diverse.”
“Se poni la stessa domanda a venti zingari, otterrai venti risposte diverse. D’altro canto, se poni per venti volte la stessa domanda a un solo zingaro, otterrai ugualmente venti risposte diverse.”
Chiudete gli occhi per trenta secondi e riflettete sulla parola “zingaro”. Nella mente potranno scorrere fiumi di immagini, dalle foto formato tessera tristemente note ai telegiornali alle vecchie foto in bianco e nero di carovane in viaggio. Famiglie allargate senza distinzione di classe, grandi comunità estremamente solidali al loro interno, ma isolate e spesso ostili al mondo esterno. Pensare ai diversi gruppi di gitani sparsi in Europa potrebbe riportare la mente a grandi feste, balli, musiche caratteristiche; vecchie avvolte in scialli con la saggezza scolpita nei solchi della fronte, in abiti così antichi da sconfinare nell’irrealtà, aggrappate a piccole croci che dalle loro fragili catenine emanano un’aura di protezione e sicurezza. Oppure potrebbero affiorare immagini più tristi, di bimbi dal viso sporco, di donne trasandate nelle loro gonne lunghe, con i capelli neri e i grandi orecchini elaborati ai lobi.
Immagini talmente disparate affiorano a ricordarci di un’importante verità: la diversità. Fortunatamente, non siamo tutti uguali. Il corso della storia ha portato alcune cellule culturali a migrare dai luoghi di origine per insediarsi in paesi stranieri, a volte stabilendo fissa dimora, altre volte solo temporaneamente. Popoli diversi si sono mischiati, fondendo usi e costumi, apportando spunti religiosi e culturali alle varie società. Altri popoli hanno invece rifiutato l’omologazione, fieri della propria identità culturale. Gli zingari sono tra questi, sopravvissuti fino ad oggi con le proprie forti caratteristiche. Se un tempo si accampavano nelle campagne, suscitando l’indignazione di “onesti e integri cittadini” e affascinando artisti sensibili e irrequieti con il loro stile di vita, oggi vivono sempre più stabilmente nelle periferie delle città, rilegati nella categoria di “ospiti indesiderati” in campi di roulotte più o meno squallide.
Gli atteggiamenti nei confronti del diverso si ripetono dunque con scoraggiante monotonia da molti secoli. E da entrambe le parti, il più delle volte. L’istituzione su cui si regge la società dei Rom è la famiglia, gruppo molto ampio legato da ascendenza comune. I vincoli di solidarietà familiare si sono rafforzati nei secoli, laddove i rapporti con l’esterno volgevano (e volgono) alla diffidenza e alla violenza. Vi è in questo sfiducia ed esigenza di difesa. Difesa della propria identità culturale. Difesa dell’onore Rom. Si definiscono per differenziazione da altri gruppi sociali. Non legati alla terra, alla sedentarietà, si distinguono per l’uso della lingua, per lo stile di vita, per la concezione di un mondo esterno gagé, diverso, non-Rom, le cui regole non valgono all’interno del cerchio del campo, e spesso nemmeno fuori.
Ma questo popolo dalle mille sfumature non ha qualcosa in comune con gli altri? Non vi sono momenti di unione, che li accomunano? Si direbbe di sì, soprattutto nei momenti religiosi. Il 75% dei Rom è cattolico. Essi vivono la propria fede come momento collettivo, legato alle tradizioni millenarie. Uno dei momenti più coinvolgenti si svolge nella regione francese di Camargue, vicino ad Arles. A partire dal 1496 infatti, molti dei Rom stanziati in Provenza cominciarono a riunirsi per il “culto di Sara”, che avvicina i gitani di mezza Europa ai francesi del luogo. La leggenda, contenente molti elementi storici documentati, vuole che in questo pezzetto di terra alla foce del Rodano siano approdate, dopo la crocifissione di Cristo, Maria Salomè, madre degli apostoli Giovanni e Giacomo, Maria "Jacobè", sorella della Madonna, Maria Maddalena Marta, Trofima e Lazzaro il resuscitato, poi divenuto, secondo la tradizione, primo vescovo di Marsiglia. Il gruppo si disperse; rimasero qui Maria Jacobè e Maria Salomè, assieme alla loro serva nera, Sara, forse di etnia rom. In loro onore il villaggio in cui riposano fu chiamato Les Saintes Marie de la Mer. Ed è proprio la figura di Sara la Khalì, Sara la Nera, ad essere stata scelta dai Rom come propria patrona. Il 24 maggio i Rom e gli abitanti del villaggio, o arlesiani, si amalgamano. Tre o quattro giorni prima le modernissime roulotte, sostitute dei grandi carrozzoni tradizionali, affollano la zona; nell’aria cominciano a diffondersi musiche coinvolgenti, suoni e profumi densi di armonia e conflitto, di allegria e tristezza, di amore e morte. Il 24 maggio sfilano le processioni, in cui orgogliosi Rom portano a spalla le reliquie delle Marie e di Sara fino alla spiaggia. Sconcertante è la tolleranza e lo spirito di fratellanza che unisce gli arlesiani alle migliaia di zingari qui riuniti. Un raro esempio di unione che prende movimento dalla fede, che mescola persone in superficie diverse, abiti tradizionali e canti, razze e anime, in una grande festa umana.
E allora, per quale motivo la diversità dovrebbe allontanarci gli uni dagli altri? Perché costumi diversi dovrebbero spaventarci? Qual è lo scopo, la motivazione? Dov’è la scissione irreparabile? E’ così strano lasciarsi affascinare, coinvolgere? Accettare le differenze e valutare le distanze potrebbe spingere a riflettere, senza condannare, senza lasciarsi portare dal pregiudizio, guardando gli altri con il cuore aperto.
Sonia Carosella
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