Immigrazione: oggi i rumeni, ieri gli italiani
6-11-1879: sulle pagine del New York Times il sovrintendente Jackson definì i 200 italiani sbarcati il giorno prima dalla terza classe di una nave come: "la parte più lurida e miserabile di esseri umani mai sbarcati a Castle Garden". Eravamo chiamati "pelli d'oliva", invasori, considerati sporchi, stupidi, delinquenti; pensiamoci bene, è così che oggi trattiamo gli emigrati nel nostro paese. Se il passato fosse più conosciuto sicuramente ciò non accadrebbe.
Le motivazioni che spingono oggi i rumeni, gli albanesi a spostarsi nel nostro paese sono quelle che erano alla base delle decisioni dei nostri nonni: povertà e volontà di creare un avvenire migliore per i propri figli. L'intento della maggior parte degli italiani non era quello di abbandonare l'Italia, ma di lavorare il tempo necessario a mettere da parte i soldi utili a una vita disgnitosa e agita nel nostro paese. A causa di questa convinzione, generalizzata tra gli italiani, fu coniata l'espressione: "uccelli di passaggio", che sottolineava la volontà di tornare al proprio paese d'origine. Gli uomini lasciavano mogli e figli a casa, vendendo bestiame o addirittura poderi per procurarsi i biglietti per le mete più amibite: America, Belgio, Francia, Svizzera, Inghilterra. La maggior parte dell'emigrazione italiana proveniva dal Regno delle due Sicilie, ma anche il Nord Italia conta milioni di spostamenti. I soggetti che intraprendevano questo viaggio erano uomini e donne tra i 15 e i 45 anni, cioè coloro che potevano offrire manodopera adattabile a tutti i campi lavorativi. Molto spesso partiva un solo componente del nucleo familiare che appena trovato un impiego inviava soldi a casa o biglietti per ricongiungersi ai propri cari. L'invio di denaro dalle zone d'immigrazione ha sostenuto l'economia italiana in periodi di grande crisi.
I viaggi venivano affrontati in condizioni disumane. "Stipati nelle sale macchine" gli emigranti "salivano sopra coperta per respirare, lividi, tremanti di freddo con la testa avvolta nei fazzoletti da naso...sorreggendosi schiena a schiena per riscaldarsi e farsi coraggio". Questo scriveva l'inviato di un giornale italiano, testimoniando cosa accadeva in quei tremendi viaggi che, molto spesso, mietevano vittime tra neonati e anziani.
I grandi disastri dei transatlantici sono stati per la maggior parte dimenticati. Si pensi al transatlantico Sirio, orgoglio della marina mercantile italiana, che, il 4 agosto 1906, si schiantò contro uno scoglio a tre metri di profondità; l'affondamento avvenne 16 giorni dopo, a causa dei soccorsi inefficienti e caotici morirono circa 500 persone, per lo più italiani imbarcati a Genova.
Le traversate in molti casi erano, per così dire, "promosse" da paesani faccendieri o agenti d'emigrazione che derubavano dei pochi averi i malcapitati che si ritrovavano ancora più poveri e disperati.
Alla fine di questi estenuanti viaggi l'accoglienza non era delle migliori. In America, in molti casi, dopo lo sbarco c'era la quarantena e poi l'etichettamento. Ogni passeggero veniva esaminato e ad ognuno veniva attribuito un libretto: rosso per gli analfabeti, giallo per gli istruiti. Gli analfabeti erano i più soggetti a truffe; in molti, infatti, raggirati da delinquenti, venivano stipati su carri merci o bestiame e condotti in Virginia, dove divenivano schiavi, lavorando nelle miniere per dei padroni. Le miniere, dove i lavoratori erano soggetti a costante pericolo e lavoravano per ore e ore senza tregua, sono state teatro di atroci stragi. Per citarne alcune: Monongah nel dicembre del 1907 o Marcinelle ne 1956. Corpi senza nome, perchè nella maggior parte dei casi i minatori non erano registrati, a metri e metri sotto terra, padri e figli che non tornarono più alle loro famiglie. Molti di questi lavoratori furono attirati in America dalle lettere dei propri congiunti, molto spesso accompagnate da biglietti prepagati. Fu proprio la corrispondenza il primo mezzo d'incoraggiamento a lasciare il nostro paese.
Nei paesi d'immigrazione gli italiani offrivano manodopera a basso costo, per questo, l'invasione dei mercati del lavoro da parte di queste orde di disperati creò tensioni con i popoli autoctoni che, ben presto, sfociarono in veri e propri linciaggi di massa. Dai linciaggi si è passati anche agli omicidi, come quello dei 9 italiani in Francia nel 1893, uccisi dai lavoratori francesi, e ancora l'assassinio degli 11 siciliani, accusati di apparetenere alla Mafia, nella New Orleans del 1901.
Il New York Times nel 1894 scriveva: "... gli italiani, quasi tutti provenienti da vecchie province napoletane, dove... il brigantaggio era l'industria nazionale...questi briganti portarono con se un attaccamento per le loro attività d'origine...". Buffo il fatto che proprio i giornalisti, coloro che dovevano rientrare nella sfera degli intellettuali, aizzassero l'odio e le discriminazioni. E ancora... i meridionali erano accusati di essere sporchi, rumorosi, arretrati, primitivi nel trattamento delle donne e dei figli. Come se non bastasse, la secolare divisione tra Nord Sud d'Italia era in uso anche all'estero. In America nel censimento del 1911 i siciliani rientravano tra i "non white", di pelle scura, e in generale vigeva la distizione tra italiani del Nord e del Sud come appartenenti a due razze: quella celtica e quella mediterranea.
All'estero il binomio italiani-mafia non è mai stato sciolto. L'organizzazione che ha creato, nel Sud Italia, l'alternativa allo stato e alla legge, ha trovato, anche fuori dai nostri confini, nuovi mercati e interessi soprattutto in America. Da qui l'italiano oltre a essere stupido, rozzo, bigotto, brigante, divenne assassino, delinquente e mafioso. Con la mafia si aveva paura dell'italiano non solo perchè rubava il lavoro, ma perchè controllava interi quartieri, interi settori grazie a influenze politiche e soprattutto alla violenza. Parliamo di una piccola parte d'immigrati, quanto basta per aumentare il sentimento d'intolleranza.
Coloro che riuscirono, fortunosamente, ad avere uno stipendio cercarono di "adattarsi" a questo nuovo mondo. La nostalgia delle proprie origini si scontrava con la necessità di imparare una nuova lingua, comprendere e acquisire usi e costumi e preservare i propri. La convinzione di tornare, prima o poi, in Italia ha in qualche modo contribuito a conservare un'identità italiana in quelle famiglie che si sono spostate in altri paesi. Utilissimi a questo scopo sono stati i numerosi quartieri in cui risiedevano unicamente italiani. Little Italy a New York è il centro italiano di raccolta degli immigrati a New York, qui si continuano a coltivare i dialetti, gli usi e i costumi; questo è stato un esempio su come consere la propria cultura e continuare a sentirsi italiani anche in una terra straniera.
Ho cercato di spiegare che in passato anche noi eravamo vagabondi e stranieri nelle grandi città del mondo, disperati e senza più nulla, se non con la speranza in un avvenire migliore lontani dalla propria terra, proprio come i rumeni oggi. Molti li accusano di rubare il lavoro, lo abbiamo fatto anche noi, di essere delinquenti, noi abbiamo esportato la mafia... perchè quindi credere che siano degli invasori quando per primi lo siamo stati noi?
Quello che più deve far pensare è che dopo due guerre mondiali, genocidi, discriminazioni, stermini, i ragazzi, cioè coloro che dovrebbero salvaguardare l'uguaglianza e la libertà, sono i primi, in molti casi, a essere intolleranti e a discriminare chi ha realmente bisogno. Cosa ci ha insegnato la storia? Cosa ci hanno insegnato i racconti delle sofferenze dei nostri nonni? E' inconcepibile che in paesi in cui si parla di villaggio globale e globalizzazione economica si possa ancora pensare e dire: "...non passa lo straniero!" perchè lo si considera ancora nemico!
PROIBITO severamente l'ingresso agli italiani (1958)
Etichette: Italiani all'estero
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